Nel pomeriggio di ieri, martedì 27 luglio, nella sua casa a Curtatone in provincia di Mantova, è stato ritrovato senza vita il medico pneumologo Giuseppe De Donno. Sembra trattarsi di suicidio. Giuseppe De Donno, 54 anni, si era laureato in Medicina nel 1992 nella città di Mantova, dove alcuni anni dopo conseguì la specializzazione in malattie dell’apparato respiratorio. Dopo una lunga carriera ospedaliera, dal 2018 era primario della Pneumologia dell’Ospedale Carlo Poma. Si era dimesso dall’incarico all’inizio di questa estate, per dedicarsi alla medicina generale nel comune di Porto Mantovano. Il suo nome è salito alla ribalta nel corso della prima ondata di Covid-19 per le sue battaglie a favore della cure con il plasma iperimmune.
“Li considero tutti i miei guerrieri“, così Giuseppe De Donno parlava dei suoi pazienti che lottavano contro il Covid-19 in occasione di una intervista sul nostro giornale nell’agosto 2020. Guerriero anche lui, aveva mostrato in televisione il volto del medico tenace che lotta alla ricerca di una speranza per i suoi pazienti. Ignorato dal mondo accademico, aveva alzato la voce nei salotti mediatici, diventando volto tangibile della lotta al nuovo coronavirus. Un medico al lavoro per i pazienti in mezzo ai pazienti. Non uno di quei pavoni accademici di cui l’Italia sta iniziando a conoscerne i danni, per lo meno quelli giudiziari (vedi inchiesta concorsopoli) non avendo al momento un metro per quantificarne quelli sanitari. Giuseppe De Donno ha rappresentato davanti a tutta l’Italia il volto dello pneumologo in lotta, che gioisce di fronte alla vita salvata, e che continua a domandarsi cosa altro si poteva fare di più per chi al contrario non ce l’ha fatta. Infatti egli così parlava della figura del medico dopo la pandemia: “è successo qualcosa che ci ha segnato profondamente, come una cicatrice indelebile sul nostro cuore o come un tatuaggio indelebile sulla nostra pelle“. Chi ha veramente lottato contro il Covid-19 come il dottor De Donno lo si riconosce proprio da queste cicatrici, al contrario di chi invece è rimasto comodamente dietro una scrivania, millantando frasi magari dalla cornetta di un telefono. Il miglior ricordo del collega De Donno sono le sue stesse parole pronunciate quel caldo pomeriggio di agosto, che dopo mesi di difficoltà regalavano speranze contro il Covid-19: “oggi abbiamo degli strumenti che ci permetteranno di affrontare una eventuale seconda ondata con più serenità“. Un grande bagaglio culturale, scientifico ed umano che ci mancherà.
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