E’ possibile, dopo quello che è accaduto nel mondo, dimenticare la pandemia?
Possiamo girarci indietro e non pensarci più? Ognuno di noi ha forse una risposta, ma intanto c’è ne offre più di una il libro “Il contagio”, edito dalla Scuola di Giornalismo di Bellinzona (Canton Ticino, Svizzera), a cura di Michelantonio Lo Russo e Matteo Cheda e con la collaborazione di tanti altri allievi, con un sottotitolo “Il coronavirus raccontato dai testimoni”.
Il libro sembra semplice, ma nello stesso tempo è ricco di ricordi, testimonianze, racconti di situazioni che solo una pandemia avrebbe potuto offrire.
La giornalista Shila Dulty Glavas nella introduzione scrive “E per la prima volta sento parlare di Lui… Di Lui, di questa malattia acuta, battezzata Coronavirus non si conosce da dove arriva né come curarlo. Si sa che attacca in modo aggressivo le vie respiratorie, arrivando a sfociare in polmonite e, addirittura, alla morte”, e più avanti intanto “Passano i giorni e le settimane. Il 30 gennaio si registrano i primi due casi di Coronavirus in Italia. Si tratta di una coppia di turisti cinesi in vacanza a Roma. Lui è ufficialmente sbarcato in Europa. Segue il 21 febbraio il primo focolaio. Sedici i casi confermati in Lombardia, a Codogno, in provincia di Lodi. Fra loro anche il primo soggetto ricoverato in cure intense”.
La Glavas prosegue: “Il primo marzo, un nuovo malato registrato. Il giorno seguente vengono segnalati altri due casi positivi. Il primo è un contatto stretto del paziente di cui si è data notizia il giorno prima. Il secondo riguarda una donna del Luganese che per qualche settimana ha soggiornato nel Nord Italia. In serata il bilancio sale a sei persone” e subito dopo “Il dieci marzo il virus causa il primo decesso in Ticino: una donna ottantenne, in una casa anziani di Chiasso. E’ la terza vittima in Svizzera” e conclude con “Abbiamo dovuto cambiare abitudini e ridimensionare la nostra vita. Tutto per un microscopico parassita invisi bile che ci ha mostrato come in realtà, ad essere così microscopici e invisibili, siamo noi”.
A chi è destinato il libro? Afferma sempre la Glavas “A chi ha vissuto questi duri mesi di pandemia e ha intenzione di approfondire e cercare di capire cosa sia successo, magari attraverso il punto di vista, le parole, le emozioni, le percezioni, le difficoltà di altre persone”. Questo libro sarebbe stato scritto da tanti allievi della Scuola di Giornalismo per lasciare al prossimo una testimonianza di ciò che è stata la pandemia in Ticino, ma ci sono tante altre storie da raccontare.
Tra queste colpisce il lettore, quella di Alessandra Amadio Moya, insegnante di scuola dell’infanzia, che ha dovuto cambiare all’improvviso le modalità di lavoro. I suoi allievi, che hanno dai tre ai sei anni, non possono naturalmente fare delle videolezioni come quelli più grandi; la scuola dell’infanzia si basa soprattutto sulla relazione, comunque “Le consegne e i feedback tra maestra, alunni e famiglia sono costanti”.
Anche Marco e Isa sono dei genitori, ma i loro problemi, lo diciamo con un sorriso, sono sicuramente diversi perché hanno nove figli dai 3 ai 18 anni in età scolastica; non si sono persi d’animo comprando subito un altro pc e “Prima che il Cantone mettesse a disposizione dei computer abbiamo ricevuto in prestito un ipad, un portatile e un laptop”, ma ci confermano “che “per le scuole in Ticino hanno voluto tenere un protocollo un po’ per tutti, ma è difficile perché per esempio fare delle videochiamate con bambini delle elementari è un po’ complicato. Devono per forza esserci anche i genitori. Nostra figlia di 10 anni è indipendente”.
Vi è anche un nome di fantasia nel libro, Matteo Baumann, di 29 anni paziente ammalatosi di coronavirus nel mese di maggio 2020 venendo a contatto con la sua ragazza, con sintomi quali la spossatezza, la perdita dell’olfatto ed è stato invitato a restare a casa per due settimane come anche la sua ragazza. “Questa esperienza – ha dichiarato Baumann – mi ha insegnato a gestire in modo positivo una relazione ancora più stretta con la mia ragazza”.
Un’altra storia interessante è raccontata da Eligio Boldini, viticoltore di Monticello, frazione tra Lumino e San Vittore, al confine tra Ticino e Grigioni; durante la crisi sanitaria il viticoltore riconverte la propria attività producendo “disinfettante per le mani e per piccole superfici”. E’ contento Boldini di essersi lanciato in questa nuova attività che poteva fare “perché ho tutte le autorizzazioni, patente professionale come distillatore e commerciante di alcol”.
Invece Emanuele Di Marco, un lavoratore dell’oratorio di Lugano, chiuso nel mese di marzo 2020, ha iniziato, nonostante non c’era l’obbligo di rimanere in casa per gli over 65 , ad effettuare il sostegno per le famiglie bisognose . Infatti “abbiamo pensato – conferma Di Marco – che poteva essere un modo intelligente per essere presente, e ci siamo detti <perché no?>. Ogni giorno superiamo abbondantemente le cento chiamate”.
Spunti particolari vengono offerti da Bernardino Fantini, professore onorario di storia della medicina all’Università di Ginevra; il docente fa presente che “Ogni paragone della pandemia attuale con <la spagnola> è invece fuori luogo”, in quanto “la spagnola ha fatto 100 milioni di morti nel mondo, su una popolazione di circa 2 miliardi”, ed inoltre “la seconda ondata di spagnola è effettivamente stata molto più grave della prima per due ragioni principali. Il virus era probabilmente mutato in una forma più letale. La diffusione di questo ceppo più letale è stata probabilmente dovuta alle condizioni di guerra”. Il docente fa su pure presente come “E’ la stessa situazione che si sta creando anche attualmente. La mancanza di un <governo mondiale della salute> rende difficile il controllo efficace delle epidemie”. “Una delle conseguenze della pandemia sarà un aumento delle diseguaglianze di salute – conclude il Fantini – Chi vive in condizioni malsane, in poco spazio, con cattiva alimentazione e scarsa educazione ha molto più probabilità di ammalarsi e di morire. Inoltre, i costi economici della pandemia, che in ogni caso saranno enormi, in assenza di politiche forti da parte dei governi ricadranno soprattutto sui più deboli e sui poveri. La lezione più grande che si dovrebbe trarre dalla pandemia è che la salute è un diritto universale di ogni persona ed è responsabilità dei governanti eliminare le diseguaglianze di salute”.
Questo libro ci consegna tante altre storie sul “Covid-19”, alcune tristi, altre meno, comunque sempre piene di umanità.
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